ELVIS di Baz Luhrmann

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Iscritto il: 01 mar 2009, 18:22

ELVIS di Baz Luhrmann

Messaggio da leggere da admin »

:mah: ATTENZIONE SPOILER! :mah:
SE AVETE INTENZIONE DI VEDERE IL FILM, RIMANDATE LA LETTURA.
CONOSCIAMO LA VITA DI ELVIS, NULLA DI NUOVO, MA ALCUNE CONSIDERAZIONI POTREBBERO ANTICIPARE MOLTI DETTAGLI DEL FILM.


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ELVIS il film ... Bello... Particolare... Intenso.
Tom Hanks perfetto nella parte del Colonnello Parker: una via di mezzo tra il padre padrone e lo spietato Mangiafuoco che tira i fili del suo burattino preferito, del suo “ragazzo”.
Austin Butler bravissimo. Non un impersonator, ma un attore davvero calato nei panni di Elvis.
Perfetto nelle espressioni e nei movimenti che cambiano e si evolvono con la crescita del personaggio.
Così credibile che in alcune inquadrature la somiglianza lascia basiti.

Peccato per il doppiaggio italiano.
L’Elvis del Louisiana Hayride è un ragazzo di 19 anni del Tennessee, con una parlata veloce, ansiosa, segnata da un accento marcatamente del sud.
La voce dell’Elvis maturo è calda e profonda, controllata così come il suo accento. The King è ormai consapevole dal suo timbro vellutato, dei suoi bassi suadenti e li usa a mestiere.
Nella versione originale Austin Butler fa un lavoro incredibile sulla voce di Elvis: non solo il tono, ma cura maniacalmente l’accento e il fraseggio che maturano via via che Elvis cresce e diventa uomo.
Al contrario il doppiaggio italiano appiattisce tutto con una voce bassa e monotono, uguale dall’inizio alla fine del film. E la narrazione ne soffre moltissimo.



Qualche leggerezza di troppo anche nella traduzione che impoverisce alcuni passaggi.
Più volte il colonnello Hanks/Parker cita:“... Il modo di curare i nostri affari...” che immagino voglia essere la traduzione di “ TAKE CARE OF BUSINESS” che però non rende per niente l’idea dell’importanza di quel motto che Elvis ha scelto come suo e ha tradotto nell’acronimo “TCB”.
Piccoli dettagli che fanno la differenza e che rendono indispensabile vedere il film anche in lingua originale per recuperare quella dimensione evocativa della parola andata completamente persa con la traduzione italiana.

Se Butler e Hanks sono stati memorabili, il regista Baz Luhrmann non è stato da meno.
Nel racconto della Memphis degli anni’50 , l’uso della musica, la frenesia della fotografia e della macchina da presa sono il suo marchio di fabbrica.
Spiazzano lo spettatore che in quel momento si aspetta un racconto più emotivo dell’ascesa di Elvis: dalla povertà sino a Graceland, passando attraverso le difficoltà del padre e l’alcolismo della madre.
Tutto invece è veloce e dissacrante, “fumettato”, quasi pulp: una giostra in continuo movimento, scintillante e ipnotica.
Dopo lo sgomento iniziale, ci si accorge di essere nel mondo del colonnello Parker: il Circo.
Uno spettacolo vorticoso, ad uso e consumo del pubblico, dove "imbonitore" e saltimbanchi si rincorrono sotto un tendone chiassoso e colorato.
E lui, con il bastone in mano, il sigaro e lo sguardo magnetico è sulla soglia che ti invita ad entrare.
Finchè tutto improvvisamente cambia: Elvis scende dalla giostra, o almeno ci prova, e diventa “artista” ... tutto rallenta, ma cresce in intensità ed emozione.

Il regista resta piuttosto fedele ai fatti, concedendosi qua e là qualche licenza.
Per migliorare la resa cromatica di una scena, Luhrmann sostituisce il colore della famosa Cadillac regalata a Gladis.
Invece della tinta pastello chiamata “Elvis Rose” ( perché creata appositamente per Elvis ) il regista preferisce utilizzare una tonalità più scura che meglio s’intona con la fotografia da lui immaginata.
Sempre ai fini puramente narrativi, durante la registrazione dello Special di Natale del ’68, Luhrmann inserisce l’omicidio di Bob Kennedy avvenuto in realtà a giugno di quell'anno.
È un passaggio importante:
Elvis s'impunta e vuole cantare “If I can Dream”, testo politicamente impegnato, citazione del famoso discorso di Martin Luther King, assassinato a Memphis nell’aprile del '68.
Affiancare le due tragiche morti serve al regista per descrive meglio il sentimento di un Elvis che non vuole più sentirsi “l’idolo di Acapulco” ma che vuole affidare alla “sua musica”, quella che “lo rende felice”, il racconto di emozioni profonde, proprie del gospel e lontanissime dalle commerciali colonne sonore tanto care al Colonnello.

Il film rappresenta un vero omaggio a Elvis, senza indugiare più del necessario sulle sue debolezze, senza raccontare la sua vita solo come una parabola discendente.
Non fa sconti al RE, ma regala un racconto pieno d'amore, rispetto e comprensione.

E poi tanta, tantissima musica.
Elvis celebrato per l’immenso talento, in un’esplosione di suoni e riarrangiamenti incredibili, accompagnando lo spettatore dall’inizio sino ad un finale che, inaspettatamente, non si sofferma sulla sua morte ma ne celebra la vita e il mito.

Qui mi fermo e non dico altro.
Il finale è un regalo ai fans e vorrei che tutti lo viveste con la mia stessa emozione e sorpresa.
E, confesso, non sono mancati gli occhi lucidi.

Elvis has left the building

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